venerdì 25 gennaio 2008

GOVERNO, FINOCCHIARO (CAPO GRUPPO PD AL SENATO): UNA CRISI CHE L'ITALIA NON VUOLE

“Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, il profilo che dovrebbe impressionarci di più è che questa crisi non si è aperta per conto e nel nome del popolo italiano: non dei suoi bisogni, delle sue aspettative, delle sue critiche, delle sue proteste. Non in ragione del molto ancora da fare seppure, con tanto impegno, così importanti e seri risultati abbia raggiunto il Governo. Non in ragione delle troppe famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese e che dall'impegno del Governo hanno ottenuto e confidavano ancora di ottenere sollievo e dignità. Non in nome del Mezzogiorno, né dei ragazzi e delle ragazze italiane cui restituire ancora pienamente lavoro stabile, opportunità, futuro, nonostante il lavoro di questo ancora breve scorcio di legislatura. Non c'è crisi per uno sciopero generale, né per conflitti sociali. E neanche perché qui, nel luogo della rappresentanza, in questo Senato dai numeri così risicati, il Governo e la maggioranza uscita dalle urne siano mai stati abbattuta su un proprio provvedimento, neppure il più impegnativo, come la legge finanziaria. E non è solo una crisi extraparlamentare. Una crisi che nasce da una vicenda che non abbiamo esitato a definire seria e grave, che ipoteca il futuro del Paese e che non ha guardato al futuro del Paese, che non ha avuto cura del futuro del Paese. Il senatore Mastella ha lamentato una scarsa solidarietà personale e politica. Ci spiace e riteniamo ingiusta, ingenerosa questa ricostruzione. Abbiamo, più volte in quest'Aula, fuori da quest'Aula, compiuto gesti che smentiscono quell'affermazione. Possiamo ancora giustificarla con lo smarrimento e la difficoltà profonda che la vicenda ha indotto e scaricato sul senatore Mastella, sulla presidente Lonardo, sulla loro famiglia. Ma mi lasci dire, senatore Mastella, che il difetto di solidarietà nei suoi confronti non può giustificare la mancanza di solidarietà nazionale che lei ha dimostrato uscendo, per fatto politico personale, dalla maggioranza di Governo, consegnando il Paese alla crisi, ad un futuro che può essere incerto e che presenta le sfide e i rischi seri di cui ha parlato il presidente Prodi. Abbiamo ascoltato in quest'Aula anche la dissociazione del senatore Scalera e del presidente Dini: obiezioni politiche sulla politica economica, formalizzate, più volte espresse, ma niente di personale. E niente giustifica l'aggressione al senatore Cusumano. Il senatore Cusumano è rimasto lì, nella stessa coalizione con la quale era stato eletto. E qui, senatore Barbato, non siamo alla rottura delle relazioni politiche, siamo alla rottura delle regole minime della convivenza civile. Noi abbiamo fiducia piena in questo Governo. Chiunque sa quanto il mio Gruppo abbia lavorato e sofferto in questi mesi. Non voglio in alcun modo sminuire il contributo prezioso degli altri Gruppi dell'Unione, ma da Presidente del Gruppo del Partito democratico voglio dire una cosa che non ho mai detto per mio conto, ma che devo ai miei senatori e alle mie senatrici. Presidente Prodi, lei sa che da questo Gruppo non le è mai venuto né inciampo né rischio, solo lealtà, lavoro, sacrificio, in condizioni numeriche molto difficili e in condizioni politiche spesso difficili. Lei sa, e tante volte ce lo ha riconosciuto, che da noi ha sempre avuto fiducia e di noi potrà sempre fidarsi, come può fidarsi l'Italia. Oggi siamo determinati e uniti nel sostenere la sua iniziativa di verificare qui l'esistenza di una maggioranza, sapendo due cose. La prima, che questa crisi è figlia anch'essa di un sistema istituzionale ed elettorale che non sa garantire stabilità ed efficacia ai Governi; la seconda, che questo interessa tutti, perché interessa l'Italia, al punto che, in questi difficili mesi, ogni voto sembrava un referendum pro o contro, anche i voti sul calendario. L'intelligenza politica dell'opposizione e della maggioranza aveva aperto un ragionamento comune su riforme costituzionali, elettorali, regolamentari. Ho molto apprezzato, in questi giorni e ancora oggi, l'insistere su questo punto di autorevoli esponenti dell'UDC, perché al di là delle dichiarazioni ufficiali, nonostante le difficoltà, le differenze, le polemiche, sapevamo tutti che stavamo aggredendo il male della democrazia, ci stavamo misurando con responsabilità alte di classi dirigenti politiche che vogliono mostrarsi all'altezza del compito. Non lasciamo che questo muoia, non tagliamo questo filo. Le elezioni anticipate, con questa legge elettorale, sarebbero un evento che ci riconsegnerebbe intatta la stessa instabilità, la stessa crisi della decisione politica, mentre geometricamente aumenterebbe il ritardo grave con cui l'Italia si presenta alla competizione internazionale. Nessuno di noi uscirebbe più forte da questo esito, certamente non la politica, certamente non l'Italia.”.

Nota
Il Senato ha negato la fiducia al governo Prodi: 156 i sì, 161 i no (tutto il centrodestra più Dini, Turigliatto, Fisichella, Mastella e Barbato), 1 astenuto (Scalera). Tutti i senatori a vita presenti (anche Cossiga) hanno votato favorevolmente: non ha votato Andreotti. In virtù del dettato costituzionale, dopo la sfiducia Prodi è obbligato giuridicamente a dimettersi ed ha già formalizzato le sue dimissioni, recandosi immediatamente al Quirinale. La palla passa ora al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: la fase delle consultazioni dovrebbe iniziare già oggi pomeriggio. La crisi di governo è aperta.

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